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La prima regina
0Villa Reale di Monza, 1868. Due donne, diverse per nascita e posizione sociale, si trovano a condividere una battaglia comune: la conquista della propria libertà. Da un lato c’è Margherita, che entra nella Villa come sposa del principe Umberto. Un matrimonio che ben presto si rivela essere una farsa, un legame di convenienza stabilito solo per poter generare un erede maschio. Margherita non vuole vivere all’ombra del marito, e con tenacia e intelligenza, riesce a guadagnarsi l’affetto del popolo italiano e l’ammirazione della nobiltà, trasformandosi nella Prima Regina d’Italia, una figura iconica che sarà ricordata per la sua forza e indipendenza. Dall’altra parte della scala sociale c’è Nina, una semplice sguattera che entra nella Villa Reale per lavorare. Nina non ha mai visto il lusso, lei non è altro che una pedina, prigioniera di un mondo fatto di manipolazioni e segreti. Eppure, grazie all’aiuto di un anziano maggiordomo, impara a leggere e scrivere, scoprendo così un nuovo mondo di opportunità. Nina cambierà la sua esistenza e la sua vita si incrocerà più volte con quella della regina Margherita, portandola a prendere decisioni che cambieranno per sempre il suo destino. “La prima regina”, romanzo storico ambientato nell’Italia del XIX secolo, ci racconta le storie di due figure femminili apparentemente distanti, ma unite dalla stessa determinazione di non essere sottomesse alle regole imposte dalla società. Un’opera che celebra l’emancipazione delle donne in un’epoca in cui il loro destino era spesso già scritto.
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Quello che so di te
0Libro presentato da Salvatore Silvano Nigro nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2025.
Nadia Terranova ci consegna con queste pagine il suo romanzo più personale e più intenso, che ci interroga sul potere della memoria, individuale e collettiva, e sulla nostra capacità di attraversarla per immaginare chi siamo.
C’è una donna in questa storia che, di fronte alla figlia appena nata, ha una sola certezza: da ora non potrà mai più permettersi di impazzire. La follia nella sua famiglia non è solo un pensiero astratto ma ha un nome, e quel nome è Venera. Una bisnonna che ha sempre avuto un posto speciale nei suoi sogni. Ma chi era Venera? Qual è stato l’evento che l’ha portata a varcare la soglia del Mandalari, il manicomio di Messina, in un giorno di marzo? Per scoprirlo, è fondamentale interrogare la Mitologia Familiare, che però forse mente, forse sbaglia, trasfigura ogni episodio con dettagli inattendibili. Questa non è solo una storia di donne, ma anche di uomini. Di padri che hanno spalle larghe e braccia lunghe, buone per lanciare granate in guerra. Di padri che possono spaventarsi, fuggire, perdersi. Per raccontare le donne e gli uomini di questa famiglia, le loro cadute e il loro ostinato coraggio, non resta altro che accettare la sfida: non basta sognare il passato, bisogna andarselo a prendere. Ritornare a Messina, ritornare fra le mura dove Venera è stata internata e cercare un varco fra le memorie (o le bugie?) tramandate, fra l’invenzione e la realtà, fra i responsi della psichiatria e quelli dei racconti familiari.
Proposto da Salvatore Silvano Nigro al Premio Strega 2025 con la seguente motivazione:
«“La famiglia è la storia che ti racconti, il modo in cui te la racconti, mentre ognuno vive il suo pezzo di vita, la sua parte nel gruppo, a tratti indifferente alla versione degli altri. Scrivere è interrompere il non detto, o crearne uno nuovo… scrivere è creare un incantesimo; se lo scrivo accade. Scrivere è spezzare un incantesimo: se lo scrivo, non accade più”. La citazione magistralmente ritmata è stata sfilata dal grandioso romanzo di Nadia Terranova, Quello che so di te, pubblicato dall’editore Guanda. È una illuminante dichiarazione di intenti; e anche un’indicazione di lettura. Il romanzo di Nadia Terranova non è infatti una cronaca familiare che guarda all’albero genealogico. È una continua interrogazione di una Mitologia Familiare, saggiata, corretta, verificata o contraddetta, dove il detto e il non detto, il silenzio e la parola, il pudore e l’autoinganno, il sogno e la realtà, la solitudine e l’orfanezza, la superstizione e la fatalità, sono passioni dell’enunciazione: in un romanzo che, prima di tutto, guarda al valore letterario, grazie anche all’esattezza di una lingua sapientemente tersa. L’asse della storia è dato dalla ricostruzione di un caso di follia in famiglia, che diventa un viaggio nel tempo e nei corpi di una bisnonna e della narratrice: due diverse esperienze della maternità, tra dolori, incanti e alchimie fisiologiche; sull’esser donne e sull’esser padri, con sgomento e paure. Non manca, nel romanzo autobiografico di Nadia Terranova, la consueta memoria di un paesaggio d’affetto. È il quadro della sua Messina ferita dalla guerra e dal terremoto, ma sempre magica, sotto i riflessi lattiginosi dell’aerea “Lupa”: una “condensa” che oscura la costa calabrese ricordando ai messinesi che la Sicilia è un’isola, basta un po’ di nebbia per separarla dal continente». -
Ovunque andrò
0Libro presentato da Valeria Parrella nell’ambito dei titoli proposti dagli Amici della domenica al Premio Strega 2025.
Con Ovunque andrò, Piera Carlomagno dà vita a una straordinaria metamorfosi di forme narrative, combinando la suspense del giallo internazionale con le atmosfere e la ricchezza di una grande saga famigliare lucana. Il risultato è un romanzo teso e incalzante, abitato da personaggi tanto eccentrici da scandire il Novecento, sorprendente fino all’ultima pagina.
«Quella notte, ai piani centrali del vecchio BeiArt di Pechino, qualcuno aveva visto qualcosa cadere oltre i vetri della camera da letto. Una grossa sagoma nera.» La sagoma è Raniero Monforti, imprenditore. Suicidio o delitto? La prima sospettata è, naturalmente, la moglie Tania, ma passano due anni prima che arrivi la vigilia della sentenza; ed è in quella notte di attesa che lei ricostruisce, per un uditorio immaginario, la storia di una morte forse annunciata. Tutta la storia, fin dall’inizio: perché la verità arriva da molto lontano. Da un paese chiamato Castrappeso, letteralmente tagliato in due da una frana che nel 1935 ha diviso a metà palazzo Di Salvia, segnando il destino di una famiglia. Dagli incredibili personaggi che attraverso quasi un secolo hanno costruito una dinastia e una fabbrica di pellami di successo, nella remota Basilicata. Dalle scelte dell’ultima erede di quella dinastia, Tania, e di suo marito Raniero che di quel patrimonio è stato l’ultimo custode, il traghettatore dell’azienda nell’era della globalizzazione e nell’Oriente misterioso e forse infido.
Proposto da Valeria Parrella al Premio Strega 2025 con la seguente motivazione:
«Seguivo già da tempo la scrittura di Piera Carlomagno, ma con questo ultimo suo edito da Solferino, Ovunque andrò, di cui mi onoro anche un poco di aver inciso sul titolo (ne discutevamo, e a me sembrava molto bello, così sono stata davvero contenta che l’abbia scelto), mi sembra che lei sia arrivata a una altezza formale mai raggiunta prima. Non perde il gusto del mistero, della trama ben congegnata, che è la sua cifra, ma vi aggiunge una capacità novecentesca di descrizione, in particolare dei paesaggi del Meridione, di certe campagne che potevamo credere perdute per sempre, e invece esistono, dentro e fuori dai romanzi. E però insieme riesce a tenere il mondo contemporaneo dell’imprenditoria più azzardata, quello dei grattacieli e del capitale, per cui seguendo i personaggi, i dialoghi, pare quasi di vedere come da lì, dalla Lucania di Carlo Levi, si sia arrivati qui, a scriverci, oggi, al di là uno schermo. Lo fa attraverso la storia di Tania C., moglie di Raniero Monforti, direttore generale della divisione cinese di una prestigiosa azienda che aspetta da un pomeriggio alla mattina seguente la sentenza di un processo che la vede imputata per la scomparsa del marito, forse ucciso, forse precipitato da un grattacielo di Pechino. Così al tempo del romanzo, una notte di attesa, si intreccia il tempo lungo delle generazioni: cento anni di storia della famiglia di Tania, del nostro Sud e del nostro Paese. Terremoti, crisi economiche, fermenti politici: cose, queste, che conosciamo bene (benissimo, direi) tutti. Credo che sia un libro da far conoscere agli Amici della Domenica, e a quei lettori ai quali dovesse essere sfuggito e che hanno le antenne belle dritte su tutte le scelte che compie il nostro amato Premio.»